La grande violinista bavarese per la prima volta all'Aula Magna della Sapienza accompagnata dal pianoforte di Dénes Varjon
Quando c’è un concerto con violino solista o comunque protagonista, soprattutto se l’interprete è prestigioso, uno dei motivi di interesse è sicuramente quello relativo allo strumento usato. I grandi liutai italiani del Settecento hanno lasciato un grande numero di strumenti di valore inestimabile che, fortunatamente, sono tuttora abitualmente suonati.
E’ il caso del violino Guadagnini del 1782 che Carolin Widmann, per la prima volta ospite della Istituzione Universitaria dei Concerti, ha fatto ascoltare al pubblico dell’Aula Magna della Sapienza.
Sarà la bravura dell’interprete, sarà la suggestione del mito, ma l’impressione di essere di fronte ad un oggetto eccezionale per potenza di volume, per morbidezza di timbro e per fedeltà di risposta alle intenzioni della nostra violinista ha dominato la serata. Suo partner abituale è l’eccellente pianista ungherese Dénes Vàrjon, con cui ha inciso le Sonate di Schumann.
Schumann inconsueto, Debussy patriottico, Varess tziganesco
Il programma della serata inizia con la Sonata n.1 il la minore op. 105 di Robert Schumann, un lavoro espressione di una cordialità rara nella sua tormentata esistenza. Sempre diviso tra i suoi alter ego Eusebio e Florestano, sembra prevalere il primo, riflessivo e dialogante, una vera e propria conversazione tra i due strumenti protagonisti.
Insoddisfatto di questa prima Sonata, quasi a compensare la delusione, Schumann compose la Sonata n. 2 per violino e pianoforte op. 121. Qui l’alter ego prevalente è certamente Florestano. Si tratta di un lavoro più definito, a tratti monumentale, esteso ed esplicito nei suoi quattro movimenti. I due strumenti sono coinvolti in una contesa ritmica, spesso vivace ed esuberante, ben espressa dalla complice consuetudine dei nostri musicisti.
E’ stata poi la volta della Sonata n. 3 per pianoforte e violino di Claude Debussy. Scritta durante la Grande Guerra con spirito patriottico, per opporre una musica nazionale all’imperante germanesimo ottocentesco, la Sonata si presenta come una miscela di elementi spesso incoerenti, divisi tra caratteri curiosamente lieti, leggeri e festosi e accenti di acuta malinconia.
Sandor Varess è stato allievo di Bartok e Kodaly e, a sua volta maestro di Gyorgy Ligeti e di Gyorgy Kurtag. La sua musica rivela il carattere della cultura ungherese dell’epoca, diviso tra le ascendenze mitteleuropee e le pulsioni tzigane. La Sonatina per violino e pianoforte del 1932 è un suggestivo breve lavoro in tre movimenti dal diverso e contrastante carattere. Qui, soprattutto nello spumeggiante finale i nostri due artisti hanno trascinato gli ascoltatori nell’atmosfera di una danza orgiastica e popolaresca.